Implantologia Orale

Implantologia Orale

In odontoiatria l'implantologia orale è una branca specialistica che si occupa della sostituzione degli elementi dentali andati perduti per carie o per infezioni gengivali, mediante impianti in titanio inseriti nelle ossa mascellari. Su questi vengono applicate delle protesi dentarie per il completo ripristino estetico e fun zionale. 

L'implantologia, nasce in Svezia per merito del Professor Per-Ingvar-Branemark al quale si deve l’intuizione dell’importanza del Titanio in medicina.


Il Professor Piero Balleri in uno dei suoi incontri con il Professor PI Branemark

piero balleri

Storia dell'Implantologia

 
In Svezia, a Goteborg, verso la metà degli anni cinquanta uno studente di medicina Peter Ingvar Branemark, per la sua prossima laurea in Medicina, ebbe come compito di tesi lo studio del flusso del sangue nei capillari di nuova formazione dell’osso in guarigione dopo una frattura. Era noto che a Lond i ricercatori dell’Estmann Institute, stavano studiano il flusso del sangue nei capillari delle orecchie dei conigli. Branemark si recò pertanto a Londra per apprendere la tecnica che intendeva poi applicare adattandola alla sua ricerca. Tornato a Goteborg , assieme all’amico Tomas Albrektson, costruì dei dispostivi ottici, cosiddette “camere” che inserì nei femori di conigli. Questi apparecchi permisero di compiere gli studi programmati raccogliendo misurazioni e fotografie del passaggio del sangue nei capillari ossei. 
Al termine delle ricerche PerIngvar e Tomas pensarono di rimuovere questi dispositivi dalle loro sedi. Con loro grande stupore scoprirono che non era possibile perchè l’osso nel quale erano stati inseriti si fratturava. Per puro caso i dispositivi per la ricerca inseriti nelle ossa dei conigli erano stati costruiti in Titanio. 

L’intuizione dei due ricercatori stava per cambiare il corso dell’odontoiatria e della medicina. Nuovo osso si era formato intorno al Titanio incorporandolo in un legame meccanico stabile e duraturo. I due studenti si resero immediatamente conto della portata della loro scoperta e dell’importanza che avrebbe avuto il Titanio per la medicina. Da lì a poco organizzarono un Team di studio nel quale convocarono professionisti di numerosi campi della scienza medica ed odontoiatrica quali chirughi orali, protesisti, parodontologi, chirurghi maxillo facciali, ortopedici ed anche ingegneri, psichiatri ed economisti. Ebbe inizio così un periodo di intensissima ricerca sugli animali. Rapidamente furono ideati degli impianti da poter inserire nelle ossa di animali da esperimento. La loro forma cilindrica con le filettature di una vera e propria vite, era praticamente   la medesima degli impianti attuali.

Ad alcuni cani dopo aver rimosso i denti , vennero inseriti degli impianti ai quali vennero applicati nuovi denti. 


Innumerevoli furono gli studi che confermarono la validità dell’intuizione iniziale. Dopo pochi anni il gruppo di ricercatori ritenne che fosse giunto il momento di applicare questa scoperta all’uomo.

All’inizio pensarono di sottoporre all’inserimento di impianti ossei un paziente ortopedico che presentava la frattura della rotula del ginocchio, ma intervenne Uto Braine, il chirurgo maxillo facciale che faceva parte del Team proponendo come primo paziente un uomo di nemmeno trent’anni di età che a seguito di un incidente automobilistico aveva perduto tutti i denti dell’arcata inferiore. Il suo nome era Gosta Larsonn ed era stato nominato “l’uomo che non può masticare nemmeno una striscia di burro”.

E’ curioso come sebbene  l’interesse iniziale dei Ricercatori fosse rivolto a tutti i distretti ossei vittime di una mutilazione  e quindi prevalentemente ortopedico, la sorte fece cadere il primo trattamento nell’odontoiatria che divenne da quel momento la culla e la sede naturale dell’implantologia.

Gosta Larsonn ricevette cinque impianti nell’area del mento ai quali venne applicata, avvitandola su di essi, una protesi di dodici denti. Era il maggio del 1965.

Circa cinquant’anni dopo, poco prima della sua morte, quattro dei suoi impianti erano ancora in perfetta funzione. Questo modello riabilitativo che permetteva di risolvere una vera e propria mutilazione estetica e funzionale ha attraversato senza una ruga oltre cinquant’anni di odontoiatria giungendo a noi praticamente immodificato consegnando ai nostri pazienti percentuali di successo inimmaginabili ad oltre venticinque anni ovvero prossime al 100%.

La scelta di un primo paziente odontoiatrico tuttavia non spense l’interesse dei ricercatori su altri distretti del corpo umano utilizzando gli impianti endossei per ripristinare molteplici funzioni andate perdute compresa la sostituzione delle dita di una mano e di un arto in pazienti amputati. Importante rilievo assunse l’uso di impianti ossei nei pazienti vittime di gravi distruzioni traumatiche e neoplastiche del distretto facciale.
La medicina aveva acquistato nel Titanio un incredibile alleato. Dove esisteva un supporto osseo, era possibile grazie all’inserimento di impianti osteointegrati, recuperare appieno la relativa funzione andata perduta, si trattasse di un dente o di una gamba.
Il Titanio aveva rivelato la sua straordinaria virtù. La biocompatibilità.
Inserito nell’essere vivente, nell’animale o nell’uomo, viene inglobato dal tessuto osseo che cresce sulla sua superficie incorporandolo in un legame meccanico duraturo utile per un ripristino funzionale, senza suscitare nell’ospite alcun fenomeno di rigetto. Il perché ciò avvenga è ancor oggi in parte sconosciuto. Ricerche recentissime hanno dimostrato che nella sede ossea di un impianto sono attivati tutti i processi dell‘immunità ritardata in quanto tutti i mediatori biochimici che stimolano la produzione di osso sono attivati ed aumentati. Allo stesso tempo i valori dei mediatori responsabili del riassorbimento osseo risultano depressi. Tutto questo si traduce nella realizzazione di un ambiente “favorevole” alla formazione di osso.
Tuttavia nonostante i successi iniziali da Branemark e dal suo Team, i loro risultati non vennero in seguito riconosciuti per il loro effettivo valore. 
Tutti i protagonisti del Team proseguirono nelle loro ricerche ma dovettero passare ancora molti anni prima che il ruolo del Titanio per l’essere umano fosse finalmente riconosciuto per il suo reale valore.
Fu l’intervento di un uomo di cultura mediterranea e di lingua inglese, essendo nato a Malta, a cambiare il corso della storia dell’implantologia.
George Zarb aveva lasciato l’isola giovanissimo per trasferirsi in Canada , a Toronto.
Laureatosi in medicina e specializzato in odontoiatria, divenne direttore del Dipartimento di Protesi dell’Università di Toronto. Venuto a sapere degli studi che il Gruppo di Branemark portava avanti si recò a Goteborg acquisendo le loro metodologie cliniche. Dopo oltre un anno di permanenza in Svezia , Zarb rientrò presso la sua sede universitaria di Toronto dove replicò tutto ciò che aveva imparato durante l’anno trascorso a Goteborg.  
I risultati non si fecero attendere. La possibilità di recuperare la funzione masticatoria perduta che si apriva per migliaia di persone senza denti emerse in tutto il suo valore sociale. Zarb, peraltro convinto sostenitore del ruolo pubblico dell’odontoiatria, espresse ulteriore contributo all’affermazione di questa terapia. Il momento più alto del suo intervento nella storia dell’implantologia fu quello di dar vita ad una conferenza internazionale alla cui partecipazione convocò tutti i più influenti operatori statunitensi. La relazione tenuta da Ulf Lekholm,forse il migliore allievo di Branemark in rappresentanza della scuola svedese convinse una stupefatta platea composta in buona parte da americani. 
Era il 1982. Da quel momento la possibilità di recuperare una funzione perduta grazie all’impiego di impianti osteointegrati divenne una modalità terapeutica accettata e condivisa dalla comunità scientifica in tutto il Mondo. Era nata l’implantologia come oggi la conosciamo. Il nodo di diffidenza che aveva bloccato Branemark ed i suoi risultati per molti anni era stato finalmente sciolto.
Al Titanio veniva finalmente riconosciuto il suo valore essenziale per l’essere umano. La sua storia era iniziata alla fine del settecento, segnatamente nel 1791 sulle coste della Cornovaglia quando alcuni contadini riconobbero come insolita una strana polvere nerastra che trovarono mista alla sabbia presente sulla riva di un fiumiciattolo il quale a sua volta alimentava un piccolo mulino, appunto il mulino di Tregonwell nella Contea di Manaccan, penisola di Lizard, Cornovaglia. 
Rapidamente questa polvere raggiunse la scrivania di William Mac Gregor, sacerdote ed erudito della contea il quale comprese sin da subito di trovarsi di fronte ad un nuovo elemento chimico che non rispondeva tra l’altro al campo di un magnete.
Lo chiamò Manaccanite in onore della Contea nella quale era stato scoperto. 
Rapidamente questa nuova frontiera venne coperta dal velo del tempo fino ad essere dimenticata. Verso la metà dell’ottocento , in Germania, la Scienza riconvocò se stessa facendo sì che quello che sarebbe divenuto il ventiduesimo elemento chimico della tavola di Mendeleev fosse nuovamente scoperto e finalmente battezzato con il nome di Titanio in onore dell’antica Grecia e dei suoi miti.
Nel 1986 il Servizio Sanitario Svedese dette vita, come parte dell’Università di Goteborg, ad un centro per il trattamento pressochè gratuito delle edentulie complete dei cittadini svedesi in applicazione alle scoperte di Branemark che in suo onore venne chiamato “The Branemark Clinic” Il suo staff intraprese una strettissima collaborazione con un’azienda che ebbe la luce grazie al filantropismo della famiglia Nobel : la Nobel Farma. In essa gli ingeneri ed i tecnici misero a punto seguendo le indicazioni dei clinici, i dispositivi tecnologici cha dalla Svezia raggiunsero tutto il mondo. Il cerchio si era chiuso.
Nell’aprile del 2002 , PI Branemark appose una targa sulle pareti del mulino di Tregonwell a perenne gratitudine verso il reverendo William Mac Gregor per la sua prima scoperta del Titanio divenuto così importante per la medicina. 

Impianti Zigomatici la terapia riabiliativa dei casi estremi

Il trattamento delle quinte e delle seste classi di Cawood e Howell dell’arcata superiore presenta delle particolarità ulteriori.L’alternativa ad una protesi totale in queste estreme atrofie mascellari attualmente risiede nell’uso dei cosi detti impianti”zigomatici”. La metodica consiste nell’inserire quattro impianti, due per ciascun lato nel mascellare superiore che vanno ad ancorarsi nel processo zigomatico del mascellare. La metodica nasce in Svezia verso la fine degli anni ottanta ed all’inizio venne impiegata principalmente per il trattamento delle gravi lesioni destruenti neoplastiche o traumatiche. Questa metodica venne poi traslata nella clinica implantare per il trattamento delle estreme atrofie mascellari che non consentono il trattamento classico.


E’ una chirurgia che richiede che il paziente venga sottoposto ad anestesia generale, sia per la durata dell’intervento, (circa tre ore)sia per un maggior comfort del paziente durante l’intervento. Come tale non può essere praticata in ambiente ambulatoriale ma deve essere effetuata in una sala chirurgica.


E’ necessario un attento studio preliminare utilizzando le immagini tridimensionali di una Tac dental scan. Può essere utile ricorrere a modellini in resina per uno studio tridimensionale prechirurgico. Per le caratteristiche di particolare densità del processo zigomatico che conferisce agli impianti un’elevata stabilità primaria, con grande frequenza l’uso di questi impianti premette di consegnare una protesi fissa in poche ore con enorme solllievo per questi pazienti. 


radiografia


La panoramica e la Tac mostrano la grave atrofia che non consente il trattamento tradizionale. 


teatro operatorio
radiografia


La panoramica mostra i quattro impianti inserite nei processi zigimatici di entrambi i lati ed il ponte gia applicato


sorriso


Il sorriso


(1) Cawood JI, Howell RA. A classification of the edentulous jaws.

Int J Oral Maxillofac Surg. 1988; 17(4):232-6

2)Lekholm et al. Soft tissue and marginal bone conditions at osseointegrated implants that have exposed threads: a 5-year retrospective study. Int J Oral Maxillofacial Impl 1996.

 3)Long-term follow-up of severely atrophic edentulous mandibles reconstructed with short Brånemark implants

Friberg B, Gröndahl K, Lekholm U, Brånemark P-I

Clin Impl Dent Rel Res 2000; 2: 184-189


Le gravi atrofie ossee

Nel paragrafo dedicato alle Edentulie complete si è fatto riferimento alla classificazione di Lekholm e Zarb del 1982, la quale costituisce un riferimento irrinunciabile per tutti i clinici relativamente alla “qualità ossea”, sinonimo di densità, dalla cui valutazione intra operatoria discendono le decisioni relative a “quando” sarà opportuno applicare i denti e quindi i carichi masticatori relativi. Questa classificazione include anche un importante riferimento alle “quantità” ossee ma deve indubbiamente la sua notorietà alla suddivisione nelle quattro classi della qualità ossea.
La quantità ossea, ovvero quanto osso sia disponibile al trattamento implantare è invece ben rappresentata dalla clasificazione di Cawood e Howell del 1988 la quale si presenta particolarmente utile in senso terapeutico. 

Classe I: Presenza dei denti
Classe II: Post estrattiva
ClasseIII: Altezza e spessore adeguato
Classe IV: Lama di Coltello ( altezza adeguata 
ma spessore ridotto)
Classe V: Piatta (altezza e spessore ridotto)
Classe VI: Depressa ( segni di riassorbimento basale)

Questa classificazione distingue i volumi ossei residui in sei classi.La prima classe non ha interessi riabilitativi perche indica la normalità con i denti presenti. Le successive due, seconda e terza classe sono entrambe caratterizzate da volumi adeguati al trattamento implantare. Nel capitolo dedicato alle edentulie complete ci siamo occupati dei trattamenti implantari relativi a queste due prime classi, sia nella arcata inferiore che superiore compreso gli aspetti dedicati ai “carichi immediati”

Diverse sono le condizioni anatomiche presentate dale classi successive, la quarta quinta e sesta. Da un punto di vista terapeutico, semplificando, possiamo dire che la quarta presenta un deficit osseo in senso orizzontale mantenendo sottili altezze in senso verticale. Le due successive, che vedremo equivalenti dal punto di vista terapeutico, mancano di dimensione verticale essendo spesso solo costituite dall’osso basale, una volta che la perdita dei denti ha determinato la scomparsa della quota ossea alveolare. Queste due condizioni anatomiche si esprimono clinicamente nelle cosidette “gravi atrofie ossee” e pongono particolari approcci terapeutici. 

Iniziamo col prendere in esame la Quarta classe, le cosidette “lame di coltello"

lame di coltello

Queste immagini, relative a sezioni radiografiche di mascellari superiori atrofici, ben legittimano questa definizione relativa alle lame di coltello. Si tratta invero di soluzioni non semplici da trattare secondo le modalità di chirurgia classica, ovvero modalità che non prevedono il ricorso ad innesti ossei. Obbligo del terapeuta è infatti quello di individuare sempre il percorso meno invasivo per il paziente che può peraltro rivelarsi di non semplice eseguzione.

“Il protocollo chirurgico più semplice sembra essere il più sicuro e con risultati maggiormente predicibili”. Branemark et al. 1995, Tolman 1995, Lekholm 1998

Sulla base di questo principio nel 2008, unitamente ad altri colleghi, pubblicammo i dati relativi ad uno studio su 12 pazienti i quali presentavano tutti caratteristiche anatomiche definibili come quarta classe di Cawood ed Howell.


mascella edentula


VELTRI M., FERRARI M., BALLERI P.

One-year outcome of narrow diameter blasted implants for rehabilitation of maxillas with knife-edge resorption. . 


clinical oral implants


CLINICAL ORAL IMPLANTS RESEARCH,

2008 Oct. vol. 19, p. 1069-1073,



In questi pazienti furono inseriti 74 impianti di diametro ridotto, ovvero 3.5 mm. L’impiego di questi  impianti ci obbligò ad accettare l’esposizione di alcune spire dell’impianto, decisione che si rivelò priva di conseguenze come già segnalato da Lekholm nel 1996. (2)



impianto
impianti

Fu poi adottato un inserimento mesio distale  degli impianti



Tutti i pazienti furono seguiti per un anno succesivamente al carico. Le stabilità implantari valutate con l’Analisi della Frequenza di Risonanza furono raccolte all’inserimento degli impianti, alla connessione degli abutment, ovvero all’inizio della fase di protesizzazione, e dopo un anno di carico. Negli stessi tempi furono raccolte le immagini radiografiche per valutare i livelli di osso crestale ed i relativi eventuali riassorbimenti. Durante il periodo indagato non furono registrati fallimenti implantari ne protesici.Nel grafico sono visibili i valori di stabilità implantare indicati come ISQ ed i relativi tempi di raccolta dei dati. Come è visibile dopo un primo modesto calo dei valori alla riapertura degli impianti, le stabilità risultano aumentate dopo un anno di carico.


isq


Anche i valori radiografici di riassorbimento osseo implantare si rivelarono estermamente positivi un anno   

 in quanto dopo un anno di carico non superarono il millimetro come atteso dai parametri di successo.


perni


Un caso esemplificativo è il seguente: nel 2001 una paziente di circa sessanta anni giunse alla nostra osservazione chiedendo una riabilitazione protesica possibilmente fissa di entrambe le arcate. L’aspetto clinico mostrava una evidente sofferenza dei tessuti perilabiali espressione del grave stato di disagio sofferto dalla paziente nell’indossare due protesi totali. L’esame ortopantomografico “la panoramica” confermò la situazione clinica rivelando la presenza di residui dentali inutilizzabili protesicamente. Venne raccolta una TAC Dental scan la quale mostrò una grave atrofia ossea di entambi i mascellari ascrivibile alla quarta classe di Cawood e Howel. La particolare conformazione della mandibola, con notevoli cavità linguali, complicò ulteriormente le condizioni di trattamento chirurgico. 


bocca
lastre

La Tac Dental Scan rivela l’estrema atrofia ossea.

tac


Nonostante l’esiguità dei volumi ossei disponibili, procedendo chirurgicamente come prestabilito con impianti di diametro ridotto ad inserimento angolato mesio distale, fu possibile inserire sette impianti nell’arcata superiore che consentirono la costruzione dopo sei mesi di una Toronto Bridge secondo le consuete modalità.


TAC

La Tac Dental Scan dell’arcata inferiore consentì di attribuire anche questo distretto alla IV Classe di Cawood & Howell


tac


Anche in questa sede vennero utilizzati impianti a minor diametro e di minor lunghezza per non incorrere nel pericolo di superare le concavità linguali. Dopo un’attesa di sei mesi il caso venne risolto con la consegna delle due Toronto Bridge.


lastre denti
denti


Il sorriso della paziente finalmente ritrovato unitamente al miglioramento del trofismo dei tessuti peri orali



Dedichiamoci adesso alle Quinte ed alle Seste classi di Cawood e Howell. Sa un punto di vista terapeutico queste non differiscono in quanto la differenza di volume tra le due è insignificante.

Iniziamo a prendere in esame queste estreme atrofie nell’arcata inferiore. Spesso si tratta di pazienti che mostrano mandibole con una dimensione residua che si aggira intorno ai dieci millimetri.Coerentemente agli insegnamenti della Scuola di Goteborg il trattamento di questi pazienti non prevede l’utilizzo di innesti ossei. Nella loro enorme esperienza relativa al trattamento di migliaia di edentulie complete, il gruppo Svedese ha trattato nel corso di quasi trenta anni una sola paziente utilzzando un innesto osseo.Al contrario nel 2000 pubblicaro i risultati relativi ad un gruppo di pazienti con atrofia mandibolare estrema (3)

Lo studio riguardò

•       49 pazienti

•       quantità/qualità  E / 1 (secondo Lekholm e Zarb)

•       chirurgia in due tempi, ovvero carico protesico dopo 4 mesi

•       247 impianti standard di 7 mm lunghezza

•       13 implanti di largo diametro 6/5 mm

•       Periodo medio di controllo dopo il carico 8 anni



Risultati:

•       Risultati a    5 anni            95.5 %

                          10 years         92.3 %

•       0.7 mm riassorbimento osseo a  5 anni

•       Due  viti di connessione abutment fratturate

I risultati di questa indagine confermano la bontà di questo trattamento dedicato alle mandibole estremamente riassorbite senza impiego di innesti


Nel 1998 una signora di sessantacinque anni si rivolse al nostro studio chiedendo di risolvere la sua edentulia possibilmente con una protesi fissa.


radiografia denti

Sia la panoramica che la teleradiografia in proiezione latero laterale rivelono la grave atrofia di entrambi i mascellari. 



lastre denti


L’inserimento attento di cinque impianti nell’area del mento consenti di risolvere l’edentulia inferiore con una protesi fissa tipo Toronto Bridge. L’arcata superiore venne riabilitata con una protesi totale rimovibile.


lastre denti


Ortopantomografia a 21 anni di distanza dal trattamento. Sotto 


immagine clinica frontale

Il " Fallimento degli impianti"

C’è un aspetto che riguarda l’impiego degli impianti in Titanio per risolvere la perdita dei denti, ovvero il timore di incorrere in un “RIGETTO” dell’impianto stesso. Etimologicamente in medicina il termine rigetto consiste in una risposta immunitaria dell’organismo di un ospite, uomo od un animale, che respinge come incompatibile l’organo trapiantato riconosciuto come estraneo. Il fenomeno del rigetto è un complesso evento che coinvolge aspetti sierologici e cellulari del sistema immunitario, in parte tenuto sotto controllo dall’utilizzo di farmaci immunosoppressori.

Come si è sottolineato nella parte relativa  alla Storia dell’implantologia, la caratteristica essenziale del Titanio scoperta agli inizi degli anni 60 da PI Branemark è la sua biocompatibilità rispetto all’organismo animale, caratteristica che lo rende preziosissimo per le riabilitazioni negli esseri umani a seguito della perdita di un arto o dei denti. Per questo motivo tra le possibili complicanze a seguito dell’uso del Titanio nell’essere umano, il rigetto non può essere contemplato. L’organismo non è in grado di organizzare nei confronti del titanio la “reazione da corpo estraneo” necessaria ad espellerlo, a “rigettarlo” dal corpo stesso. Ciò che viene inteso come rigetto è in realtà un evento possibile e reale, vale a dire il FALLIMENTO di un impianto del quale ben conosciamo le cause che come vedremo, sono legate in gran parte alle decisioni corrette o meno dell’operatore.

Il fallimento implantare corrisponde di fatto alla perdita dell’impianto a seguito della disgregazione del rapporto micromeccanico tra le spire dell’impianto e l’osso neoformato che le circonda.


L’esatto opposto del Fallimento è il Successo implantare. Preferiamo esprimerci in termini di fallimento per il seguente motivo: se una tecnica chirurgia presenta il 98% di successo ed una il 96%, le due tecniche sembrano equivalenti in termini di bontà di successo. Se invece vengono valutate in termini di fallimento la seconda tecnica con quattro fallimenti percentuali rispetto alla prima che ha  solo  il due percento, risulta avere una percentuale di fallimento doppia rispetto alla prima. Così il concetto di fallimento meglio visualizza l’esatta entità del fenomeno che corrisponde alla perdita dell’impianto ed alla sua funzione.

immagine
E’ importante sapere quanto sia affidabile l’implantologia nel suo complesso. 
Marco Esposito, un’autorità in termini di statistica medica, nel 1998 pubblicò le percentuali di fallimento attese in questo campo. I suoi dati sono rimasti un punto di riferimento sia per il grande numero di impianti indagati sia per essere il risultato di un’analisi statistica metanalitica, ovvero il metodo di analisi statistica di più alto valore.
Su un’analisi di oltre 16.000 impianti , i fallimenti colpivano nella percentuale del 7.7%. Le analisi relative ai protocolli di trattamento attribuivano al dente singolo o monoedentulia una percentuale di fallimenti del 2,4%. Agli edentulismi parziali una percentuale del 4% e alle edentulie complete una percentuale di fallimento del 7.6%, quest’ultima pressochè interamente attribuibile al trattamento dell’edentulia completa superiore. Infatti in questo distretto le percentuali di fallimento risultano essere quasi triple rispetto al trattamento dell’edentulia completa inferiore. Questa differenza tra superiore ed inferiore consegue alle caratteristiche anatomiche del mascellare superiore nel quale, statisticamente, è più frequente imbattersi in un osso di modesta densità e di minori volumi.
Dobbiamo essere sempre molto cauti nel trattamento dell’edentulia completa superiore.

Nei trattamenti meno “ortodossi” rivolti a situazioni cliniche più complesse e quindi meno prevedibili, per così dire “operatore dipendenti” ovvero strettamente dipendenti dall’esperienza dell’operatore, compresi i casi di innesto osseo, i fallimenti assommano nell’insieme a circa il 20%. Considerando unitariamente tutti i trattamenti ed i fallimenti correlati, l’Implantologia si presenta come una disciplina chirurgico riabilitativa nella quale dobbiamo attenderci circa l’8% di fallimenti.

Riepilogo delle percentuali di fallimento per gli impianti Brånemark (16.953 impianti),

Esposito et All 1998:

  • Impianti singoli: 2,4%
  • Edentulia parziale: 4%
  • Edentulia totale: 7,6%
  • Situazioni complicate: 7,3% (GBR, trasposizione nervosa, posizionamento immediato nell'alveolo post-estrattivo, tubero)
  • Innesti ossei: 14,9%

Complessivamente: 7,7%.

Adesso che si è definita la possibilità di un fallimento implantare, anche nella sua percentuale attesa, e quindi del suo insuccesso rispetto al fine proposto di riabilitare la perdita di uno o più elementi dentari, non ci resta che sottolineare che le due parole RIGETTO e FALLIMENTO sono sinonimi. Tuttavia il termine rigetto, seppur entrato con successo nel linguaggio comune, non corrisponde come si è chiarito sopra, alla realtà in quanto il Titanio essendo biocompatibile non può suscitare nell’organismo una reazione di espulsione come corpo estraneo, appunto un “rigetto”. Ribadire questo aspetto terminologico della questione non è pleonastico ma decisamente importante in quanto il termine rigetto evoca una fatale e spontanea risposta negativa da parte dell’organismo verso un impianto nei confronti della quale non è possibile far altro che assistere impotenti. In realtà come vedremo prendendo in esame le cause del FALLIMENTO, (Alias RIGETTO) queste sono ben note e pressoché totalmente, tranne poche eccezioni, legate ai comportamenti ed alle decisioni dei terapeuti. Per essere più chiari, escludendo alcune rare complicanze tardive, il fallimento implantare è nella maggioranza dei casi attribuibile al dentista che ha impostato e messo in atto il piano di trattamento. Questo emerge in modo molto chiaro dalle ricerche di Esposito (1,2).
I Fallimenti implantari ci verificano in due momenti diversi della terapia implantare ripartendo equamente la metà dei fallimenti in ciascuno di essi:

“I batteri sono i nostri peggiori nemici”

La lotta vinta contro la sepsi puerperale nel 1857  grazie all'intuizione di Ignazio Semmelweis che consentì l’accesso al personale della sala parto solo dopo il lavaggio delle mani con una soluzione di ipoclorito di sodio.

Primo Momento:

il fallimento si verifica dall’inserimento dell’impianto all’applicazione dei denti. Se un impianto fallisce in questa fase, tra l’inserimento nell’osso ed il carico masticatorio, significa che il fenomeno biologico della produzione di nuovo osso, l’osteointegrazione non è avvenuto. Questo si chiama FALLIMENTO PRECOCE (Early Failure)  ed è causato quasi interamente da un’infezione batterica che si è verificata al momento dell’inserimento dell’impianto. In totale avvengono in questa fase circa il 50% dei fallimenti. (47%).

Per evitare che questo avvenga, ovvero che dei batteri possono giungere contaminandola, alla sede dell’intervento, è obbligatorio che per tutta la durata delle fasi chirurgiche relative all’inserimento implantare siano mantenute costanti  condizioni di sterilità.

Purtoppo la sterilità è un valore assoluto. “Abbastanza sterile o sufficientemente sterile” non sono concetti accettabili. La sterilità in chirurgia prevede che ogni strumento mantenga questo stato “sterile” dall’inizio alla fine dell’intervento. E’ obbligatorio in questa specifica disciplina dove una protesi in titanio viene inserita in segmento osso sano di un paziente sano per recuperare una funzione, che l’impianto venga inserito nella sua sede finale senza aver nessun contatto con qualsivoglia superficie. Giova ricordare che altri momenti chirurgici peraltro particolarmente importanti per difficoltà , quali l’estrazione di un dente del “giudizio” inferiore ,richiedono ovviamente l’uso di strumenti sterili ma a questi non viene richiesto di rimanere tali per tutta la durata dell’intervento dato che la sede dove sono impiegati è di fatto una sede infetta che guarirà a seguito dell’estrazione del dente malato. 

L’allestimento di una condizione di sterilità durante gli interventi di chirurgia implantare richiede una preparazione specifica da parte di professionisti/e qualificati che assumo il ruolo di "FERRISTA”. A questa figura professionale viene attribuito tutta la responsabilità nella preparazione dello strumentario e di ogni altro presidio necessario all’espletamento dell’intervento. 
ferrista

La FERRISTA Preparazione dello strumentario chirurgico.

Ad essa viene inoltre affidata la preparazione del cosiddetto “TEATRO OPERATORIO” prendendosi cura della protezione del paziente e della preparazione del primo e del secondo chirurgo.

teatro operatorio

La chirurgia implantare impone l’uso dei doppi guanti per tutti gli operatori chirurgici.

Al fine di evitare qualsiasi contatto con la cute del volto del paziente da parte del chirurgo durante l’intervento, la Ferrista ha poi il compito di proteggere il volto del paziente con un telo plastico adesivo sterile. Ogni falla nel controllo dell’infezione durante questo momento del trattamento implantare potrà complicarsi con una infezione e quindi in un fallimento precoce. 


Fasi della preparazione del paziente in un teatro sterile.

operazione

Il tempo che passa è il nostro migliore Amico”

Bertil Friberg

dottore
Secondo Momento : l’impianto fallisce dopo che ad esso è stato applicato il dente sottoponendo l’impianto o gli impianti al carico masticatorio. Questo si chiama FALLIMENTO TARDIVO (Late Failure) ed è causato praticamente sempre da un carico meccanico troppo alto, ovvero l’osso nel quale è inserito l’impianto “cede” per cosi dire sotto il peso eccessivo della masticazione e conseguentemente l’impianto si “stacca” dalla sua sede ossea. In totale avvengono in questa fase circa il 50% dei fallimenti. (53%).
tabella

Questo cedimento osseo si verifica per più motivi. Può trattarsi di un osso troppo soffice, poco denso, oppure di volume troppo esiguo che non resiste al carico masticatorio. In ogni circostanza si tratta di un carico masticatorio che risulta comunque eccessivo rispetto alla capacità di resistenza meccanica di quella sede ossea. In valore assoluto il carico masticatorio può anche essere modesto ma l’osso che lo riceve può comunque per sua costituzione, non sostenerlo. Questo è il SOVRACCARICO PROTESICO (Overload).  

Il Fallimento Tardivo, a sua volta si divide in altri due momenti, vale a dire il Fallimento Tardivo che avviene nel PRIMO ANNO DI CARICO (circa il 50% dei fallimenti tardivi) ed il Fallimento Tardivo che avviene SUCCESSIVAMENTE AL PRIMO ANNO DI CARICO. (A sua volta il restante 50% dei fallimenti tardivi). Questo significa che dal momento dell’inserimento al termine del primo anno di carico avvengono il 75% dei fallimenti. Significa inoltre che il primo anno di carico rappresenta una fase in cui si mantiene una notevole vulnerabilità  meccanica del sistema ed è  pertanto un tempo necessario per il completamento dell’integrazione dell’impianto al fine di ottenere una stabilità implantare sicura e permanente. Esistono infatti ricerche che dimostrano che l’osteointegrazione è un processo biologico che necessità per la sua completa maturazione un periodo di tempo che può sfiorare i due anni. Nel 2006 (4) il mio gruppo pubblicò i risultati di uno studio condotto su sei pazienti per un totale di 64 impianti inseriti nel mascellare superiore. In questi pazienti erano state raccolte le stabilità implantari dopo sei mesi dal loro inserimento mediante un sofisticato strumento mutuato dall’ingegneria meccanica in grado di valutare la stabilità di una vite. (Analisi della Frequenza di Risonanza). I valori di stabilità definiti ISQ , (Implant Stability Quotients) erano riportatati sulle ordinate mentre sulle ascisse era riportato il Tempo. Di seguito sono riportati  due grafici con i dati relativi a due pazienti nei quali è possibile osservare che con il passare del tempo i valori di stabilità implantare aumentano fino a stabilizzarsi introrno ai due anni. Deve essere precisato che 60 ISQ è il valore di stabilità ritenuto in grado di sostenere il carico masticatorio.


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Emerge in modo evidente ,come è precisato nella sezione relative al ”CARICO IMMEDIATO”,  (Deve essere ribadito che con il trascorrere del tempo nuovo osso si formerà attorno alle spire dell’impianto in Titanio grazie allo straordinario fenomeno biologico dell’osteointegrazione fornendo una definitiva, migliore e sicura STABILITA SECONDARIA’)  che il TEMPO rappresenta il miglio amico nella terapia implantare in quanto è dimostrato che con il trascorrere di esso un volume di osso sempre magiore si addenserà attorno alle spire dell’impianto migliorando in via definitiva la sua stabilità ed affidabilità meccanica. 



Sarà pertanto il chirurgo implantologo che verificate le condizioni di stabilità implantare relativamente alla densità elevata o meno della sede trattata, a decidere il tempo che deve trascorrerre prima dell’applicazione dei denti. Una valutazione errata della stabilità implantare in questa fase  che non conceda il tempo neccesario all’integrazione ossea di completarsi e che veda l’applicazione dei denti ed i reativi carichi mesticatori avvenire troppo presto, può concludersi con un fallimento di uno più degli impianti inseriti.

1) Esposito M, Hirsch J-M, Lekholm U, Thomsen P: 
Biological factors contributing to failures of osseointegrated oral implants. (I) Success criteria and epidemiology.
Eur J Oral Sci 1998; 106: 527–551. 

2) M Esposito , J M Hirsch, U Lekholm, P Thomsen
Biological factors contributing to failures of osseointegrated oral implants. (II). Etiopathogenesis Eur J Oral Sci . 1998 Jun;106(3):721-64.
 
3) Ulm C, Kneissel M, Schedle A, Solar P, Matejka M, Schneider B, Donath K. Characteristic features of trabecular bone in edentulous maxillae. Clin Oral Implants Res. 1999 Dec;10(6):459-67.

4) Balleri et al. Implantology 2006; 2: 61-72.Complete edentuly of the upper maxilla Clinical-instrumental investigation for the determination of the correct permanent implant loading time.

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